Cantami o Diva #8: Nonna Rita in sella per salvare una vita

Rita è una levatrice, intorno c’è la guerra ma lei corre ovunque con la sua bici per portare alla luce una vita. Quel giorno la fuga in sella si fa lunga e disperata, dal Piemonte al Trentino. C’è da salvare un ragazzo che rischia la deportazione. Il racconto di Francesca Ragusa.

Pedalando, la Vita!

A casa. Pomeriggio uggioso. In televisione le immagini di una vecchia trasmissione in bianco e nero riportano la memoria lontano: le parole del cronista di un tempo conciliano i ricordi. Ricordi di una donna di famiglia. Al muro di casa appesa una bicicletta. Guardo la bici, guardo la tv…e i due racconti si fondono e confondono.

Era un mattino, nebbioso, freddo quando arrivò la notizia che un ragazzo era stato preso. Maniscalco di un paese, del Paese, era stato preso e caricato su di un carro bestiame, direzione il Nulla. Una ragazza, giovane levatrice di un paese, del paese, stava rientrando con il sorriso di chi aveva aiutato l’ennesimo bimbo nato, il sorriso alla vita di quella notte. Poter essere d’aiuto per la Vita in tempo di guerra era un bene raro, al punto da poter uscire a qualsiasi ora del giorno, della notte e far così sgorgare pianti di gioia che rompevano le lacrime del triste momento.

Rimbalzata per il paese la notizia della cattura del giovane maniscalco, si riempirono di paura gli animi di tutti i compaesani e mentre pensieri confusi si susseguirono di casa in casa, questi raggiunsero anche la giovane levatrice.

Sgomento, titubanza e indecisione in un “batter d’occhio” lasciarono il posto alla decisione, alla volontà e alla voglia di rivalsa … a cavallo di quella bici, portatrice di vita che eludeva tutti i coprifuoco per permettere di venire al mondo, in quel mondo allora così difficile, quel giorno accettò una missione ben diversa, ma non meno importante: quella di portare a casa chi era stato portato via.

Spinto dal vento della vita e della libertà, il giovane ragazzo riuscì a buttarsi giù dal quel treno e, mentre rotolava sull’erba pensando a cosa ne sarebbe stato di lui, lei pedalava e pedalava di giorno e di notte con un permesso di levatrice, pedalava senza sosta dal Piemonte al Trentino. I minuti erano giorni, i giorni sembravano

eterni, ma il desiderio e la volontà non conoscono il tempo, ma solo la voglia di riuscire.

Il giovane trovò riparo in un campo medico, con una spalla rotta, tutto acciaccato, ma l’animo saldo e la voglia di far avere notizie di sé a casa. Le ruote della bici resistettero e le gambe della giovane donna tra nemici e peripezie raggiunsero l’obiettivo. Il maniscalco preso quella notte era suo fratello. La levatrice impavida, mia nonna.

Mentre la televisione scorre quelle immagini in bianco e nero e parla di un tempo perduto, ma mai perso, sento ancora le sue parole il giorno che mi regalò quella bici che ancora oggi è appoggiata al muro del mio soggiorno: “Ricordati, questa bici rappresenta la libertà di circolare, di andare, di portare la vita, ma soprattutto di prendere ciò che ami e portarlo a casa con te.” Non ho mai saputo i particolari di quel viaggio, di quel ritrovarsi, ma ancora oggi, qui da casa, in questa quarantena forzata, sento l’aria sul viso, sento l’aria della libertà conquistata da una giovane donna seduta sulla canna della bici che rientra a casa con suo fratello e insieme pedalano felici verso la loro libertà.

Grazie a nonna Rita! Grazie a quelle donne che come lei ci hanno insegnato a combattere senza armi, ma con la sola forza della volontà.

Francesca Ragusa,

Consigliere Delegato Pari Opportunità, Provincia di Asti