Cantami o Diva #4: Cinquant’anni di azzardi in giro per il mondo

Quando la passione per il viaggio supera tutte le barriere. Ecco il racconto di Gloria Bava

Cinquant’anni di azzardi

Un pomeriggio d’estate una ragazzina seduta all’ombra di una ‘topia’ legge, sogna, s’innamora, fantastica  sulle terre, le città i cieli di quei libri. 

Sotto la stessa ‘topia’ una signora con un libro in mano e gli occhi chiusi ricorda.  

Una via stretta ed affollata del Quartiere Latino a Parigi, il vento freddo ed umido alza i lembi dei paltò e  fa scegliere un piccolo locale dove si serve cucina russa: blinis e salmone marinato mentre fuori turbinano fiocchi di neve.

Il suono petulante della sveglia nella stanza dell’Hotel Zenobia di Palmira: il sole è appena sorto e la luce dorata inonda quel meraviglioso universo di pietre. 

La strada per Samarcanda attraversa la polverosa piazza di PenshyKent: un bimbetto col grembiule dell’asilo segue con lo sguardo curioso il pullman scalcagnato e saluta timidamente con la manina in cui stringe una grande rosa. 

Nel crepuscolo senza fine dell’estate nordica la proprietaria del campeggio nel suo colorato abito lappone  indica il pozzo dove   attingere l’acqua per la sauna. Sul fondo biancheggia uno spesso strato di ghiaccio: è il 9 giugno 1977. 

Il caldo sole del pomeriggio fa luccicare come acqua la linea sconfinata dell’orizzonte nell’out back australiano. Due case di legno, la pompa a mano per la benzina, la porta di un locale e dietro al bancone un vecchio, nei suoi occhi l’immensità del vuoto: Hamilton Hotel 7 abitanti. 

Da Tvastat verso Mostar. 

Ai bordi della strada che costeggia la Neretva donne con lunghi calzoni a sbuffo e veli colorati sul capo vendono pesche luccicanti sotto il sole terso del mattino.

Suoni di trombe e tamburi, stendardi ed incensi, campanelli e timpani: un corteo colorato accompagna un’auto infiocchettata sulla quale una sposa bambina dagli occhi bistrati e le labbra carminie va verso il suo destino di donna nella ribollente realtà di Katmandu . 

Fuori dalle luci del grande albergo il buio più fitto che però poco a poco lascia  intravvedere sagome di palazzi, giardini, vie, gente che passeggia: è la Pechino del 1986.

Il sole al tramonto esalta i colori dello zocalo di San Cristobal de las Casas,  giovani passeggiano tenendosi per mano, famiglie siedono compite sulle panchine, le venditrici indie raccolgono le loro merci e se ne vanno verso le capanne nella foresta, dagli scialli annodati spuntano nere testine di bimbi.

Balcone di una stanza in hotel belle epoque, una fetta di baguette con Camambert, un bicchiere di Chablis, negli occhi la meraviglia della ‘grande marée’ che si frange sulla passeggiata marina di Saint Malo.

La Grande moschea di Eysyup ad Istanbul, uno dei luoghi più sacri dell’Islam, è circondata da un giardino-cimitero. Maestosi alberi proteggono con le loro fronde antiche tombe segnate da stele di pietra culminanti  in forma di turbante; fra le ombre leggere disegnate dai rami si aggirano due donne con lunghi abiti scuri e fiori di ortensia in mano: non c’è tristezza, ma armonica bellezza. 

A Sainte Genevieve des Bois, nei dintorni di Parigi,  c’è un cimitero ortodosso: una piccola chiesa dalle cupole a cipolla, viali ampi e  curati lungo i quali sono accolte le sepolture di tanti russi morti fuori dalla loro terra. 

La più straordinaria è quella ricoperta da un  tappeto kilim a mosaico con frange e tessere dorate. E’ il tappeto che si è posato  ad avvolgere un genio aereo e divino: Rudolf Nureyev. 

Il cielo nero, segnato da sconosciute diamantine costellazioni, conserva una pallidissima luminescenza alla linea dell’orizzonte dove si confonde con le lievi colline d’erba della pianura mongola. Due figure di donna si stagliano contro il tappeto di stelle e le loro voci alzano alla sacra volta celeste una nenia dolcissima.

 Erbe profumate  vincono la sabbia rossa, la massa misteriosa di Uluru ha da poco nascosto il sole,  fra i neri cespugli appare un disco infuocato, splendido e misterioso: è la Luna  che riverbera la rossa fornace dell’out back.

Imponente castello crociato su un’altura a guardia della pianura.

Dai bastio­ni  la vista è bellissima: è primavera le  montagne che circondano il Crack dei Cavalieri sono verdi, i frutteti in fiore.  

Ecco la splendida cappella dei crociati dalle purissime linee gotiche: un frammento del Nord Europa sulla sponda meridionale del Mediterraneo. 

Una foto dai colori sbiaditi: un sorriso davanti alle Twin Towers del World Trade Center di New York.  Ottobre 1987: allora era possibile.

Il nero della notte ed il rumore della pioggia torrenziale sulle foglie di palma e negli occhi l’ ultima visione di Angkor con la luna del plenilunio che sale fra gli alberi e si riflette nelle acque trasparenti del grande bacino. 

Ancora cinque ponti : Venezia una fatica sempre più grande ed il giuramento che sarà l’ultima volta, ma poi si entra nel vecchio palazzo, si spalanca la finestra sulla folle geometria dei tetti, tutte le campane battono il mezzodì  ed allora non resta che chiedere  alla Serenissima la grazia di un altro incontro.                                           

In una limpida giornata invernale sulla strada che va da Portacomaro a Grana le Alpi innevate sono i nostri Padiglioni Lontani. 

Nella fredda notte della Vigilia l’antica abbazia si intravvede appena, tutto è buio e ghiacciato silenzio, ma passata la porta si è avvolti dall’onda di dorata bellezza del polittico cinquecentesco in legno dipinto la cui opulenza contrasta con la purezza delle linee dell’Abbazia di Santa Maria di Staffarda.

In un ristorante di La Paz un brindisi al coraggio con l’orgoglio di aver completato un viaggio durissimo e meraviglioso sull’altipiano andino della Bolivia. 

La signora riapre gli occhi: non ha sognato, ma ha rivissuto alcuni momenti della sua vita di viaggiatrice appassionata che quando era sedicenne una violenta forma di poliomielite aveva cercato di fermare…senza riuscirci!

Gloria Bava, Asti